La storia antica e moderna della pizzica e del tarantismo costituisce un esempio per molti aspetti unico di una tradizione culturale che, pur essendo lunga secoli e affondando le proprie radici nel folklore locale, ha saputo proporsi – anche attraverso intelligenti contaminazioni con altre tradizioni musicali antiche e recenti – come un linguaggio in grado di comunicare i propri valori artistici a un pubblico contemporaneo e assai ampio per provenienza geografica. Si tratta dunque di una tradizione che è riuscita non soltanto a sopravvivere nel contesto della modernità globalizzata, ma anche a rinnovarsi, aprirsi al dialogo con altre storie e altre culture, contaminarsi con esse e infine trasformarsi in un fenomeno in grado di attrarre decine di migliaia di persone in quello che è divenuto il più grande festival italiano e una delle maggiori manifestazioni di musica e cultura popolare in Europa. In un’epoca, come quella in cui ci troviamo a vivere, caratterizzata dal predominio della cosiddetta cultura di massa, di quella che Max Horkheimer e Theodor W. Adorno definivano nella Dialettica dell’Illuminismo come ‘industria culturale’, e segnata allo stesso tempo da un muro di apparente incomunicabilità tra la produzione artistica, musicale e culturale rivolta agli addetti ai lavori e quella destinata invece al grande pubblico – che spesso significa anche incapacità della prima di comunicare a un pubblico più ampio –, il modello rappresentato dalla tradizione della pizzica è, viceversa, quello di un incontro di linguaggi, di uno scambio reciproco che avviene, per così dire, sia dall’alto verso il basso che dal basso verso l’alto: così una musica fortemente caratterizzata dalle sue origini popolari sa rimettersi in gioco e fondersi con tradizioni a loro volta assai diversificate, dalla musica cosiddetta colta, in particolare sinfonica, al jazz, dalla world music per arrivare – ma sono soltanto alcuni esempi – al rock. E ancora: in un momento storico nel quale la nascita delle società multiculturali rischia di degenerare in un’organizzazione sociale strutturata per nicchie chiuse e non comunicanti, nella quale le singole comunità culturali, raccolte in se stesse e non desiderose di confrontarsi con le altre – oppure non messe adeguatamente in condizione di farlo –, sono esposte al rischio di un progressivo isolamento e, in prospettiva e di conseguenza, di conflitti delle une con le altre, l’esperienza di contaminazione con tradizioni musicali di tutto il mondo che è stata propria in questi anni del Festival della Notte della Taranta, dà il segno di un confronto e di uno scambio positivo, di un arricchimento reciproco, della costruzione di un linguaggio comune e condiviso ma, insieme, rispettoso delle specificità legate alle singole e diverse identità culturali locali.
Seguendo con intelligenza e passione quest’ambito di ricerca, in onore di una serie di personalità straordinarie come i nostri antichi cantori, è nato “Li Ucci Festival” da un’idea di Antonio Melegari e di tutta l’ass.ne culturale Sud Ethnic. Il Festival mostra la sua vitalità e la capacità di svolgere un ruolo primario nella valorizzazione di un’importante tradizione culturale. In un mescolarsi creativo di antico e moderno, di vicino e lontano, di cultura ‘alta’ e cultura popolare, la pizzica riscopre e reinventa la propria vocazione originaria, che da sempre è quella di dare espressione alla coesione della comunità e insieme all’apertura di questa verso il mondo.
MASSIMO BRAY
già Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo nel Governo Letta
Direttore Treccani