Maniacale era l’impegno che Uccio pretendeva dal “Gruppo” (ad iniziare da lui), sintetizzando col suo “Tocca Smujamu”, volendo dire: dobbiamo far penetrare l’emozione del canto “cu sse rrizzane li carni a cci ni sente”. Altrimenti, -aggiungeva-, non vale la pena di stare sul palco”.
Per questo motivo (penso uno dei pochi casi) pretendeva che i tecnici puntassero i fari esclusivamente sugli spettatori, mai sul palco. Era abile, infatti, a scrutare i volti e capire il grado di “smuju” che si stava producendo; per questo, a volte proponeva all’improvviso canti non previsti (o mai provati) dalla scaletta.
Un aspetto della personalità di Uccio che mi ha sempre colpito riguardava quel particolare atteggiamento che assumeva poco prima e durante il canto (in qualsiasi situazione, in concerto, attorno ad un tavolo, tra amici). Il suo volto sempre pronto a modellare le battute di spirito, il carattere sanguigno, il sorriso, lo sguardo malizioso, i gesti… tutto spariva all’improvviso e si vedeva in lui un altro volto, attento, sofferente quasi pronto ad un rituale sacro. Uccio era una persona che aveva uno smisurato senso di rispetto e dignità nei confronti della canzone popolare e della musica in genere.
ANTONIO CALSOLARO